La grammatica di Luigi XVII

Riproduciamo il testo di un articolo di Oscar de Incontrera nel quale racconta della presenza presso la Biblioteca Civica di Trieste del libro di grammatica latina appartenuto a Luigi XVII, figlio di Maria Antonietta.

L'articolo, che risale agli anni sessanta, è utile perché ripercorre e lega le vite di molti francesi che vissero, morirono o semplicemente passarono a Trieste e Gorizia.

Oscar de Incontrera 

UN PREZIOSO CIMELIO DELLA NOSTRA BIBLIOTECA CIVICA: LA GRAMMATICA LATINA DI LUIGI XVII (Trieste 1965-1966) 

Alla nostra Biblioteca Civica esiste nella sezione Manosritti, sub n. 1.29, un cimelio poco conosciuto e precisamente una reliquia commovente e pieziosa del Delfino di Francia figlio di Re Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta. 
Il Delfino, come noto, secondo gli atti di decesso, di autopsia e di seppellimennto, morì nella prigione del TempIe, a dieci anni e due mesi, I' 8 giugno 1795, ma storicamente non si può dimostrare in forma inoppugnabile che il bambino deceduto in quella data sia stato in effetti colui che l'Europa coalizzata e i realisti tutti riconoscevano conte Luigi XVII Re di Francia. Molti storici ancora oggi farneticano su una possibile evasione ed altri, con maggiore fondamento, che la morte sia avvenuta in epoca anteriore e che la Repubblica, per supremi interessi politici che qui non è il caso di enumerare, la celò mettendo al posto del Principino morto un altro bambino. 

Il cimelio conservato alla nostra Biblioteca Civica è il trattarello elementare manoscritto di morfologia latina, di cui si servì Luigi XVI per apprendere al suo sventurato figliuolo i rudimenti della lingua latina. 
Sappiamo che la Famiglia Reale fu relegata nella dugentesca dimora dei cavalieri Templari, che imponente con la sua massa turrita si ergeva nel centro di Parigi, il 13 agosto 1792, tre giorni dopo il secondo, vittorioso assalto alla reggia delle Tuileries. Sappiamo ancora che il Delfino Luigi Carlo rimase con tutta la famiglia sino al 25 ottobre nella piccola torre e poi, solo col padre, al secondo piano della gran torre quadrata, sino all'11 dicembre, giorno in cui iniziò il processo che doveva portare il Re deposto alla ghigliottina, il 21 gennaio 1793. Il 25 ottobre dunque il Principino fu trasferito al piano superiore, dove erano rinchiuise la Regina sua madre, la sorella nubile del Re Madama Ellsabetta e la sua sorellina Madame Royale Maria Teresa Carlotta, quella futura Duchessa d'Angoulème, che giace sepolta, assieme ad altri cinque Principi della sua Casa, a Gorizia, nel santuario francescano di Castagnavizza. 
Nei primi quattro mesi della sua prigionia al Temple, Luigi XVI impartì al suo figlioletto poco più che settenne, lezioni di calligrafia, di grammatica francese, di aritmetica, di geografia, di storia e le prime nozioni della lingua latina. Lo attestano i più antichi biografi del Delfino 1 e i compiti e quaderni del bambino, con le correzioni di pugno del padre, che si conservano al Musée Carnavalet e agli Archives Nationales. Già alle Tuileries però Luigi XVI aveva fatto il precettore principale di suo figlio e perciò, subito dopo imprigionato al TempIe, chiese di poter avere i libri di cui s' era servito finora a questo scopo. Tra questi gli fu inviata la grammatichetta latina, che quasi di sicuro è quella stessa posseduta dalla nostra Biblioteca Civica. 
Scrive Hue 2, «officier de la chambre du Roi», nei suoi “Souvenirs”, che nella piccola torre del TempIe Luigi XVI ebbe la ventura di trovare, rimasta al suo posto, la biblioteca del cancellierato dell' Ordine di Malta, il quale finora aveva occupato quegli appartamenti e che ciò fu di gran sollievo nella vita oziosa di prigioniero che ormai doveva condurre. Si tuffò così nella lettura e «con l'intenzione di rimpratichirsi nell'uso della lingua latina ed impartirne, durante la cattività, le prime nozioni al Signor Delfino, il Re si mise a tradurre le odi di Orazio e ogni qual tanto Cicerone». 
Il nostro volumetto reca il titolo: Règles pour écrire le Latin ed è anonimo. E' alto 19 centimetri, largo 12 e consta di 268 pagine numerate più sedici pagine non numerate, comprendenti gli indici analittici. Esso è calligrafato in eleganti, grandi ed uniformi caratteri inglesi, da un'unica mano, sempre sulla stessa carta vergata, attraversata da vergelle distanti 25 mm. l'una dall'altra. Le dimensioni del volumetto fanno sì che solo quattro vergelle attraversino ciascun foglio e che la filigrana appaia solo qua e là del tutto frammentaria. Mi è riuscito nondimeno ricostruire il disegno di questa filigrana ed ho avuto la ventura di trovare questo nella mia collezione privata di carte filigranate settecentesche. 
Grazie a un tanto, posso specificare con certezza che la carta impiegata per il trattatello in esame fu quella della fabbrica olandese Van der Ley. Nella filigrana questo nome figura in tutte lettere con sovrapposto un grande scudo a ricciature e volute, avente nel campo un corno di caccia e sormontato da una corona a tre fioroni gigliati e due perle moventi da punte. Sotto lo scudo appare un grande numero 4, la cui asta orizzontale finisce in una crocetta e la verticale si prolunga invece sino al nome della fabbrica attraverso una lettera V capovolta. La stessa marca di fabbrica ebbero due altre cartiere olandesi della fine del '700: la C. & J. Honis e la D. & C. Blauw. i cui nomi in filigrana hanno ì medesimi caratteri di quelli della cartiera Van der Ley. La carta di quest'ultima fu molto diffusa in tutta l'Europa, sia per la stampa di libri che per uso di corrispondenza privata e di carteggi e atti ufficiali. L'ho trovata spesso nelle lettere private e negli atti dei ministeri francesi e a Trieste nelle lettere private. 

Il trattatello è composto espressamente per il Delfino e cioè è ad usum Delphini, come si diceva allora per quei libri purgati e commentati espressamente per l'ammaestramento dell' Erede al trono di Francia. La prima copia veniva calligrafata a mano ed era riservata alla persona di Monseigneur le Dauphin; Ie altre, stampate in bella edizione e con l'indicazione sul frontespizio ad usum Delphini, venivano poste in commercio. Dato il precipitare della Rivoluzione e l'ingigantirsi delle persecuzioni 
d'ogni manifestazione a favore della Monarchia ormai esistente solo di nome, è impossibile pensare ad una stampa del trattatello. Così l'elegante manoscritto è da ritenere senz'altro un unicum, prezioso per tante ragioni ad onta della conoscenza incerta e scarsa del latino dimostrata dall'autore. 
L'epoca di compilazione di questo volumetto è senz'altro da porsi tra il 20 giugno 1791, data della fallita fuga di Varennes e il primo semestre del 1792, quando Re Luigi XVI, completamente esautorato, viveva con la famiglia, sorvegliato e vessato, semiprigioniero persino nell'intimità dei suoi appartamenti privati, nella reggia delle Tuileries. Questi tre esempi sono sufficienti, reputo, a comprovarlo: 

p. 222: Je pense que le Roi sera retabli sur son trône
Cogito Regem restitutum iri super Thronum suum. 

p. 252: Il n' est personne qui ne voye combien un Roi est necessaire 
Nemo est quin videat quanto Rex necessarius est (sic) 

p. 253: La faiblesse est cause que la France gemit dans le malheur.
Debilitas est in causa cur in Gallia gemat in infelicitate (sic)

La rilegatura del volume è pregevole e bellissima; è in tutto marocchino rosso con impressa in oro, su ambi i piatti, una fastosa cornice di fregi e dentelli floreali racchiudente, tra svolazzi e arabeschi culminanti in una sproporzionata, corona reale, lo scudo di Francia leggermente ovale con i tre gigli. Il volume ha il taglio dorato e per segnalibri un nastrino di seta, verde; una carta semplice, a disegni verdi e rossi su fondo bianco forma la guardia del libro. 

Il testo del trattatello, scritto tutto entro un riquadro a doppia riga, è preceduto dal frontespizio. che ripete il titolo: Règles Pour Ecrire le Latin ed ha sotto, diviso da una doppia riga, il molto ciceroniao 
Non tam praeclarum est Scire latine,quam turpe nescire. Cic.
Più sotto ancora si legge, sempre entro il riquadro della pagina, a grandi caratteri, vergati da differente mano il millesimo: «1795» (in lettere Romane).  E' l' anno della morte ufficiale del «figlio di Capeto», del piccolo martire Luigi XVII. Evidentemente il millesimo è stato. aggiunto, quando pervenne la luttuosa notizia, diramata e divulgata ampliamente dal governo di Termidoro. Il frontespizio è preceduto dal ritratto del povero Reuccio e da un risguardo bianco, ambedue visibilmente aggiunti e di certo in quei tristi giorni. La carta del risguardo, sebbene abbia vergella e filoni identici alle altre, ha per filigrana solamente uno scudo consimile per forma e corona a quello della casa Van der Ley, ma che porta in campo un leone rampante. L'incisione in rame con l'effige reale fu raccorciata nei margini per poterla inserire nel volumelto. Entro un ovale, spicca su fondo nero in mezzobusto, volto verso destra, l'immagine di Luigi XVII, con jabot, manto regale, collana dello Spirito Santo e sui lunghi capelli ricciuti la pesante corona di San Luigi. Entro il doppio tratteggio che circonda l'ovale si legge in basso a sinistra: H. I. delint. e a destra Hibbert sculpt.. Sotto vi è lo stemma reale di Francia con corona e collana dello Spirito Santo, che divide la legenda: Louis Dix Sept Roi de France et de Navarre né à Versailles le 27 Mars 1785. E più sotto ancora si legge in caratteri più minuscoli publié et presenté à L. A. R. Mes Dames de France par Barbiellini place de la Minerva Rome.

Si tratta dell' incisione che il libraio-editore Francesco Barbiellini pubblicò, per distribuire a Roma, in S. Luigi dei Francesi, il 25 agosto 1793, giorno della festa di S. Luigi IX Re di Francia, dopo un rito funebre in suffragio di Luigi XVI, durante la solenne cerimonia propiziatoria, celebrata per ottenere dall'“Altissimo la pace nel regno di Francia, sotto lo scettro del figlio ed erede legittimo del decapitato Augusto Monarca” 3. Nel coretto reale della bella, cinquecentesca chiesa, assistevano commosse a quella “fête du Roi”, ricorrente in quell' anno in sì tragiche circostanze, le due esuli Principesse di Francia, cui il Barbiellini aveva voluto dedicare il ritratto del nuovo Re, del piccolo prigioniero che la Rivoluzione continuava a tenere rinchiuso nella torre del Temple. 

Il ritratto è, come ho potuto stabilire, la riproduzione, però con marcate modifiche, dell'effigie di Luigi XVII, incisa anonima a Parigi, all'indomani del regicidio e diffusa clandestinamente un po' ovunque 
all'epoca del Terrore. Questa effigie è rarissima, poichè la maggior parte degli esemplari furono sequestrati e distrutti e chi la possedeva, se scoperto, rischiava la ghigliottina, altrettanto quasi, come se si trovava indosso a lui una delle tre simboliche tessere di riconoscimento che aveva il partito realista. Nelle rispettive, consimili vignette di quelle tessere - specifico per inciso - si individuavano nei contorni bianchi d'un urna cineraria e del tronco del soprastante salice piangente, i profli del Re, della Regina, di Madame Royale e infine di Luigi XVII, che stava per venir morso dal serpe della Rivoluzione. 
Le Principesse Maria Adelaide e Vittoria Luisa, cui l' editore Barbiellini dedicò il ritratto del Reuccio prigioniero, erano, come noto, le figlie nubili di Re Luigi XV e della regina Maria Lcscynska, le zie di Luigi XVI, che nel 1791, “per liberamente praticare la loro religione”, avevano abbandonato la Francia “in preda ai faziosi” e s' erano rifugiate a Roma, accolte paternamente e con tutti gli onori da Papa Pio VI. Esse erano andate a dimorare presso l'Ambasciatore di Francia Cardinale Duca di Bernis, al palazzo de Carolis, oggi sede del Banco di Roma in via del Corso 307 (già Corso Umberto I), dunque poco lungi dalla piazza della Minerva e dalla chiesa di San Luigi dei Francesi4
Come e grazie a chi questo nostro trattatello sia pervenuto nelle mani di Mesdames Tantes a Roma, non ci è dato di sapere. Le due Principesse in ogni modo lo ritennero una preziosa reliquia della loro famiglia falciata dalla Rivoluzione e quando appresero che anche il piccolo Luigi XVII era morto, avranno fatto apporre sul frontespizio l'anno relativo e inserire nel libretto la sua immagine. 
A Roma Mesdames de France rimasero sino al 1796, quando in seguito alla minacciosa avanzata degli eserciti della Repubblica, dilaganti in Italia, si ritirarono nella villa di S. Leucio, posta a loro disposizione dal Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone. Per le medesime ragioni dovettero fuggire due anni dopo una seconda volta e dopo infinite disperate peregrinazioni e peripezie attraverso il napoletano in rivolta, giunsero per mare a Trieste il 19 maggio 1799, minate nel corpo e nell'anima. Qui morirono Vittoria Luisa il 7 giugno successivo e Maria Adelaide il 27 febbraio 1800. Le loro salme rimasero sepolte a San Giusto sino agli inizi della Restaurazione, quando il loro nipote Re Luigi XVIII, il 12 novembre 1814, le fece solennemente trasportare su una fregata in Francia. Il 21 gennaio 1817 esse furono sepolte nei sotterranei dell'Abbazia parigina di Saint-Denis, accanto a quaranta generazioni di Re, profanate dal Terrore5

Il ricordo di queste due Principesse, alle quali il Goldoni a Versailles aveva appreso la lingua italiana e il veneziano delle sue commedie, è tuttora vivo a Trieste, grazie a un ostensorio, capolavoro dell'oreficeria parigina, che Luigi XVIII donò a San Giusto e a un meraviglioso vaso di Sèvres e a un ritratto di Re Carlo X, pregevole copia ad olio del Nesse della nota tela del Gérard, doni questi di quei due Sovrani e che oggi si conservano al Museo Revoltella. Alla Biblioteca Civica abbiamo però il meno appariscente, ma nello stesso tempo più commovente ricordo: le Régles pour écrire le latin del Delfino. Infatti, in calce al frontespizio della grammatichetta si legge la seguente annotazione, stilata in bella e curata scrittura: “Ce Livre est precieux, Monseigneur le Dauphin de France s' en étant servi Lui même pour Son instruction, & etant un Don que Mesdames les Princesses de France en firent à la Bibliothèque de Trieste, lors de Leur séjour en la dite Ville l'An 1798”. 
La nota contiene un errore di data. Mesdames giunsero a Trieste nel 1799 e non nel 1798. Reputo perciò sia stata vergata parecchi anni dopo ricevuto in dono il libro. Dalla calligrafia risulta che essa è di pugno di Giuseppe de Coletti, il quale nel 1793 fondò la nostra Biblioteca, reggendone poi le sorti sino in morte, nel 1815. Noi sappiamo che quest'arcade, toscano di origine ma nativo di Roma, al quale tanto deve la cultura triestina, riordinò la Biblioteca dopo passata la bufera napoleonica,nel rinato clima di pace, quando aveva ormai 70 anni. 
E durante quel lavoro, che la morte troncò a metà, egli si compiacque di fare delle chiose in testa a qualche volume, per tramandarne la provenienza o valorizzarne il contenuto. 

Il Coletti seguì con ansia e livore gli sviluppi della Rivoluzione e prese viva parte al martirologio di Luigi XVI e della sua famiglia; un tanto appare dai versi che ci ha lasciato e dalle infinite colonne del suo Osservalore Triestino, dedicate a quei sanguinosi avvenimenti. Nella sua biblioteca, che prima fu intitolata in grembo all'Accademia degli Arcadi Romano-Sonziaci e poi divenne pubblica, egli raccolse quanto di meglio vi era della letteratura francese, da lui prediletta ed altamente ammirata ed accolse con premura quanti tra quel migliaio e più di emigrati francesi, qui riparati con la Rivoluzione, desiderarono approfondirvisi nelle letture6. Egli prestò loro verso ricevuta anche spesso in casa dei volumi ed aiutò quelli, come fu il caso di quella eletta femme savante che fu la contessa de Pontgibaud, che si costituirono qui a Trieste una propria biblioteca. Egli fu largo di consigli verso questi emigrati ed anzi curò lui stesso le loro ordinazioni librarie in Francia, dove essi figuravano ancora sulle liste di proscrizione. Per le “gentili attenzioni” usategli da “Monsieur de Coletti”, il canonico Rousseau de Lepinoy, già confessore di Madama Maria Adelaide, legò in morte alla nostra Biblioteca i suoi libri e svariati oggetti d'arte7

La Duchessa Françoise de Narbonne-Lara nata de Chalus, maggiordoma maggiore e dama d'onore di quella Principessa, rimasta a Trieste poi sino al 1811 - abitava nell'attuale Villa Necker -, fu un'assidua frequentatrice della nostra Biblioteca e il Coletti le faceva spesso visita, venendo così a contatto con i più cospicui emigrati di Francia, dimoranti a Trieste o qui di passaggio8. Questa dama, alla morte di Madama Adelaide, distribuì vari ricordi della defunta e della premorta Madama Vittoria, a chi della nostra città aveva addolcito lo squallore dell'esilio e circondato di ossequiose premure le zie dei Re Martiri. Ricevettero così dei ricordi il governatore conte Pompeo de Brigido e la sua famiglia, il console di Spagna Don Carlos de Lellis, che aveva ospitato Mesdames nel suo palazzo, il patrizio Leopoldo de Burlo, che aveva accolto le due salme reali nella sua tomba in Cattedrale e il colonnello marchese Albert François de More conte de Pontgibaud, divenuto a Trieste il commerciante e banchiere Giuseppe Labrosse e la sua consorte, e qualche altro emigrato di Francia. 
E i ricordi consistettero in oggetti usati dalle due Principesse, in lavori a mano confezionati da esse, in miniature, gioielli, in lettere scritte a Mesdames da Luigi XVI e dalla sua famiglia e in volumi dalle sontuose rilegature stemmate, già appartenenti alla biblioteca che Mesdames avevano posseduto neil loro castello di Bellevue e che esse avevano portato seco nell'esilio. 

E' logico ritenere che anche il devoto e servizievole bibliotecario de Coletti sia stato compartecipe di questi donativi e chi può escludere che il ricordo da lui ricevuto non sia stato proprio la grammatichetta latina di cui ci occupiamo e ciò nonostante l'annotazione attestante che il libro è un presente di Mesdames stesse? Il trattatello era agli occhi delle due auguste esuli una reliquia troppo sacra della loro famiglia per rinunciarvi in vita a possederla. Perciò mi sia lecito avanzare l'ipotesi che le Regles pour écrire le latin siano state donate al buon Coletti non direttamente dalle due zie di Luigi XVI, ma dalla Duchessa di Narbonne, nell'anno 1800, dopo la morte di Maria Adelaide di Francia. Il dono, in tale evenienza, non perde punto del suo valore ideale; esso costituisce sempre un pegno di gratitudine verso Trieste, per l'ospitalità generosa elargita in vita e in morte alle due profughe regali e in pari tempo dimostra inalterata la fiducia riposta nella nostra Biblioteca, affìdando alla sua custodia un libro manoscritto che unisce nella memoria Luigi XVI e il suo infelice figliuolo. 
Propendiamo per questa tesi, pensando che la Duchessa di Narbonne si sarà resa conto della difficoltà estrema di farlo pervenire sino in Curlandia, a Mitau, dove conducevano una vita oscura e di stenti il fratello del Sovrano ghigliottinato, quel conte di Provenza, che in morte del Delfino s'era proclamato Re col nome di Luigi XVIII e Madame Royale, liberata dalla prigione del TempIe e andata sposa al cugino Duca d'Angouleme. La restaurazione sembrava ormai ben remota, anzi irrealizzabile. La Vandea era completamente vinta; l'armata del Principe di Condé stava per venir sciolta e in Francia il Bonaparte Primo Console, vittorioso in cento battaglie, governava con pugno di ferro, schiacciando realisti e giacobini. 
Il visitatore della nostra Biblioleca Civica, dopo aver ammirato le preziose raccolte della Petrarchesca e della Piccolominea, di cui esse va giustamente orgogliosa, merita esamini anche le Règles pour écrire le latin. Il manoscritto s'impone all'attenzione di quanti s'appassionano a quell' epopea intrisa di sangue e circonfusa di gloria, che s'inizia con l'assalto alla Basliglia e si chiude nella piana di Waterloo. Per le anime sensibili esso rievoca alla mente, a si grande distanza dalla scena parigina in cui si svolse, la tragedia del Tempie e la piccola figura della più innocente e più compassionevole vittima della Rivoluzione Francese. 
Questa grammatichetta facilmente è legata ad alcuni episodi tramandatici dagli storici e memorialisti. 
Il de Beauchesne9, dopo aver parlalo dei commissari municipali che a turno di sei esercitavano al Temple la sorveglianza su tutti i dettagli del servizio, specifica che questa si esercitava persino ai principi di educazione da dare all'ex Delfino, in modo che il Re deposto si vedeva colpito anche nelle sue prerogative di padre, E a comprova riporta vari esempi, tra cui due riguardano in participare le lezioni di latino. 
Un giorno Luigi XVI, con la grammatica latica latina tra le mani, poneva dei quesiti al figlio e questi nella risposta pronunciò male un vocabolo piuttosto difficile, senza ch'egli lo correggesse “Allora uno dei commissari presenti scattò su brusco con queste parole: «Voi dovreste ben insegnare a questo bambino una migliore pronuncia, giacchè coi tempi che corrono egli avrà farse più d'una volta l'occasione di dover parlare in pubblico». Il Re rispose condolcezza: «Avete ragione, signore, la vostra osservazione è giustissima, ma mio figlio è ancora troppo piccolo e credo che bisogna aspettare che il tempo e l'abitudine gli sciolgano la lingua»”. Un altro giorno il municipale Leclerc interruppe la lezione, trovando «eccessivamente impertinenti» certi esempi che seguivano alcune regole grammaticali e si mise a dissertare sull'«educazione repubblicana» che dovrebbe invece venir inculcata al ragazzo. «Bisogna che quello lì viva della vita del suo tempo - disse - e non di quella dei tempi passati» e perciò, secondo lui, era nocivo che il padre gli facesse tradurre dei brani persino dall' «Esprit des lois» del Montesquieu. 
E il Lenotre10 scrive: “L'11 dicembre 1792, mentre Luigi XVI dava a suo figlio una lezione di lettura latina, due municipali si presentarono annunciando che venivano a cercare il piccolo Luigi per condurlo da sua madre. Il Re abbracciò a lungo il bambino, ch'egli non doveva più rivedere prima dello straziante colloquio con la famiglia, c'ebbe luogo il 20 gennaio 1793, alla vigilia del suo supplizio”. 

Poco dopo la Regina vedova Maria Antonietta decise che le lezioni di calligrafia, geografia e storia fossero riprese e se ne incaricarono lei stessa, la cognata Madama Elisabetta e Madame Royale, la quindicenne sorella del Delfino11. Per quanto riguarda il latino, la Regina ne considerò indispensabile l'insegnamento “per sviluppare lo spirito del figlio” e poichè, come tutte le altre Arciduchesse anche lei aveva ricevuto alla Corte di Vienna “un'educazione basata sulla lingua dei Cesari”, riprese con facilità ad insegnargli i rudimenti. E' ancora il de Beauchesne a raccontarcelo. Non credo però che le Règles pour écrire le latin servirono più all'uopo; già Luigi XVI, dopo tre mesi di detenzione, aveva chiesto al consiglio generale della Commune 33 opere “pour son usage et pour son fils”, tra cui figuravano vari classici latini e il divulgaltissimo e celebre testo di Charles-François Lhomond, intitolato Elements de la grammaire latine à l'usage des collèges12
La domanda egli l' aveva depositata al consiglio del Temple il 21 novembre 1792 e i libri, acquistati espressamente a spese della Commune, gli furono consegnati il giorno 25, quando mancavano appena due settimane dal giorno in cui egli doveva venire definitivamente separato dal suo bambino. 
Suppongo perciò che il trattatello della nostra Biblioteca Civica sarà terminato nelle soffitte della gran torre, in cui furono portati gli oggetti già apparlenenti a Luigi Capeto e che da lì, come tanti altri di questi oggetti, esso sarà stato sottratto da qualche comissario o inserviente a scopo di lucro. Sappiamo che allora a Parigi si pagava a peso d'oro qualunque reliquia del Re decapitato. 
Il trattatello finora aveva attirato solo la fuggevole attenzione di qualche studioso13. L'unico che vi aveva dedicato un articolo specifico era stato il colonnello Francesco Vairo nel Piccolo della Sera 
del 9 aprile 192614; articolo poi ripubblicato rimaneggiato, nel medesimo giornale, il 18 febbraio 193915. Il Vairo però, riscontrato l'errato anno di arrivo fra noi di Mesdames e la strana presenza nel volume del profilo del Delfino con la corona di Re sul capo. aveva posto in forse l'autenticità del 
cimelio e concluso con queste parole: “Mi sarebbe gradito se altri ritornasse sulla fatica compiuta per diradare i miei dubbi. Queslo piccolo problema di ricerche attende ancora una soluzione”16. lo ho cercato ora di giungere a questa soluzione e sono fiducioso di esservi riuscito e in forma positiva e convincente. 

NOTA - La menzionata immagine di Luigi XVII incoronato, diffusa a Parigi alI' indomani del regicidio, era, esaminando accuratamente l'iconografia del Principino, la riproduzione nei paludamenti regali, del ritratto del Delfino a cinque anni (1790), dipinto dal Micry e inciso da A. Gabrieli e che a Coblenza allora fu, da un intraprendente anonimo stampatore, venduta con sotto una didascalia tedesca tra i combattenti delle armate realiste e fra gli emigrati stabilitisi lungo le rive del Reno. Per i tratti somatici più maturi del viso, l'effigie contenuta nel nostro trattatello s'ispira piuttosto al rame di N. Heideloff, pubblicato a Londra nel 1793, che riproduce il Reuccio in piena figura e sempre nei paludamenti regali e la cui fisionomia sembra copiata da un'incisione che si vendeva a Parigi. dopo la deposizione dì Luigi XVI (ultimi mesi del 1792) del fils du dernier roi des Français, ritratto in abiti civili, à l'age de sept ans

NOTE 

A. DE BEAUCHESNE «Louis XVII: Sa vie, son agonie, sa mort» Paris, Plon, 1861 vol. I, pp.233-237e 243-216 

R. Chantelauze :«Louis XVII:Son enfance, sa prison et sa mort au Temple» Paris Firmin-Didot 1895, p 77 

F.ckardt: «Mémoires sur Louis XVII» Paris Albin Michel c.1905, pp 43-44 

Clery: «Journal de ce que c'est passé à la Tour du Temple pendant la captivité de Louis XVI 
Roi de France» Paris 1825, p 32 

2 Baron de Hüe: «Souvenirs» Paris, Calmann Lévy 1903. pp 89-90 
3 E. de Barthélemy: «Mesdames de France filles de Louis XV» 
Paris Didier e cic 1870, p 431 

Diego Angeli : «Storia Romana di trenta anni (1700-1800)-Milano, Treves 1931. p 216

4Alessandro Bocca:«Il palazzo del banco di Roma: Storia-cronache-aneddoti» Roma, Staderini 1950, pp 133-143

5Oscar de Incontrera «La Basilica di San Giusto: Cenni storici e note note descrittive» nel settimanale Vita nuova, puntate 69-79 (5/4-216/1925 

«Guida storico-artistica della Basilica di san Giusto»-Trieste Trani 1928, pp 62-63 e 123-129 
«Le origini del consolato di Spagna e la caratteristica figura del Console de Lellis» 
in «Porta Orientale» n.ri. 3-4 e 5/1936 
Chateaubriand a Trieste» in «Archeografo Triestino» vol. XLV-XLVI,1949-1950 
Giuseppe Labrosse e gli emigrati francesi a Trieste» Puntate II e VII in :«Archeografo Triestino» vol. I.XVII - IXVIII, 1953-1954,risp. LXXIII/1962 

6Oscar de Incontrera: «Giuseppe Labrosse etc....» «Vita triestina nel Settecento nelle cronache dell'Osservatore Triestino» in «Porto Orientale» anni 1953 fino al 1963 

7Camillo de Franceschi «L'Arcadia Romana-Sonziaca e la Biblioteca Civica di Trieste» in «Archeografo Triestino» vol. XLIII / 1929-1930 pp.199-200 

8Oscar de Incontrera «Giuseppe Labrosse etc....» 

9A. de Beauchesne. op.cit. vol. I pp. 243-244 

10G. Lenotre ; «Le Roi Louis XVII et l'enigme du Temple» 
Paris Perrin 1921, pp.88-89 

11A. de Beauchesne. op.cit. vol. II p. 17 

12Idem vol. I, pp. 517-519 

13Il de Franceschi ed io l'avevamo menzionato nelle citate opere; inoltre René Dollot in « Le dernier voyage et la mort de Mesdames Adélaide et Victorie» («Le Correspondant»- Paris mars 1931) et 
Jean Duhamel in « A Trieste sur le pas des français»-Trieste 1958 

14«Una grammatica di Luigi XVII alla Biblioteca civica?»

15Un prezioso cimelio alla Biblioteca civica: Un libro del delfino di Francia»

16Francesco vario morì a Trieste il 18 settembre 1953


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